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Della serie: Sergio Corazzini è morto, i TQ sono morti, ma noi ci sentiamo ancora bene.

Noi di CAM s’intende: più o meno questo il succo del discorso distillato da un’intervista bella corposa pubblicata su Flanerì, rivista letteraria che ha base a Roma e che ha un bellissimo blog.

Leggi qui l’intervista integrale.

Altre interviste le potete trovare sul Tropico del Libro e su Pool Academy.

Riassumento per sommi capi: abbiamo parlato di blog letterari nell’era del web 2.0, tematiche care a #LitBlogStorm, delle nostre origini, dei nostri riferimenti culturali, della realtà universitaria e di provincia, delle difficoltà di mandare avanti la baracca malgrado tutto e tutti e del nostro futuro.

Giusto qualche pillola, con tanto di grotteschi virgolettati autocitatori.

«Quanto alla pluralità di visioni: ci sembra il minimo. I lettori sono sempre più polivalenti, la comunicazione sempre più transmediale e un esercito di nativi digitali è lì fuori pronto per assorbire input, informazioni, idee che condizioneranno il futuro. Credi che avrebbe ancora senso parlare di libri spalando la polvere della critica testuale, o incipriandosi il naso con le avvincenti e interessantissime dispute attorno al premio Strega?»

«è più interessante capire la lettura della gente, che vive esistenze sempre più precarie e quindi necessariamente eterogenee, sfuggenti e interdisciplinari. Essendo noi parte della gente non possiamo che condividere il medesimo punto di vista. Più che di eclettismo io parlerei di realismo. È fisiologico e realistico percorrere le tante strade che compie la cultura popolare, l’oggetto che più ci interessa, e le sue narrazioni. Ed è nello stesso tempo fisiologico e realistico farlo attraverso lo spazio sociale e ideativo predominante del nuovo millennio, l’unica piattaforma che potenzialmente ci può consentire tutto: il web 2.0»

«Detto questo un simile lavoro non potrà mai sbocciare del tutto se ci si limita alla pura esistenza/condivisione virtuale: per questo abbiamo creato l’associazione culturale, perché ci siamo accorti come fosse importante “fare cose” anziché “parlare di cose”»

«Mi piace pensare a CAM come un progetto dal baricentro basso, culturalmente pop e mentalmente post. Siamo nati sotto la luce crepuscolare del nostro vate-mascotte Sergio Corazzini, poeta di inizio Novecento morto alla veneranda età di 21 anni. (…) Per questo ci consideriamo già “postumi”: non siamo morti sotto i colpi dell’inedia, della malinconia e della tisi. Questo per noi è già qualcosa. Ora guardiamo più avanti. Il nostro prossimo obiettivo da eguagliare non sono i TQ, defunti pure loro, o un Paolo Giordano, ma Mick Jagger, Iggy Pop, quella gente là»

«Internet è un po’ come una giostra e fintanto che ci stai dentro sei costretto ad assimilare il suo linguaggio, le sue dinamiche, percorrendo quel binario come in un ottovolante. Percepisci la realtà alla velocità della luce, tra giri della morte e avvitamenti e alla fine devi avere lo stomaco di voler fare un altro giro, perché quello che hai colto da quello precedente non ti basta. E perché quello che hai colto dai libri che ti hanno fatto studiare, anche quello non ti può bastare. Questo significa che le opportunità si moltiplicano di giorno in giorno»

«La volontà di “fare rete”, sempre e comunque, mi suona come l’esigenza desaturata di chi, invece, vuole supplire la mancanza di prospettive attraverso un progetto privo di esperienze. È una questione di chimica. Non possiamo imporci delle affiliazioni in nome di chissà quale rivendicazione territoriale o sindacale. (…) Più che di semplici amici, nella vita, così come nelle nostre attività abbiamo bisogno di “complici”. Rapporti umani più simili a relazioni alla Bonnie e Clyde che alla We Are the World, non so se ho reso l’idea»

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